lunedì 10 marzo 2014

Recensione del libro di Gary Lucas - La Stampa 30/09/12






MUSICA

“Jeff, l’angelo caduto
che ci regalò Grace”

Il cantautore Buckley
nel libro-ricordo di Gary Lucas
Jeff Buckley morì a 31 anni, era il figlio di Tim, artista morto per eroina nel 1975.

La prima volta che lo vide, lui l’abbagliò «con un sorriso da mille watt che accese la penombra della chiesa». L’ultima volta che gli parlò, poco prima che morisse, gli disse solo: «Non hai idea di quanto io sia nella merda… è tutto una merda», per riapparire poco dopo sul palcoscenico del locale in cui si trovavano e proporgli, a sorpresa, di suonare ancora una volta, l’ultima, Grace, la canzone che più li legava.  

Tra un incontro e l’altro sono trascorsi sei anni, anni che Gary Lucas, chitarrista d’avanguardia newyorkese, racconta ora in un libro pubblicato in anteprima mondiale dall’editore italiano Arcana.  
Il libro ha un titolo in inglese, Touched by Grace, e un sottotitolo in italiano, La mia musica con Jeff BuckleyGrace, la canzone, e Buckley sono, appunto, i protagonisti del racconto, che Lucas riesce finalmente a rendere pubblico.  

Lucas ha circa 40 anni ed è un chitarrista piuttosto esperto quando la sua strada incrocia quella del 25enne Jeff, appena giunto a New York dalla California per cambiare vita e celebrare la memoria di suo padre. È il figlio di Tim Buckley, introverso e geniale cantautore degli Anni 70, morto per eroina nel 1975, che lui non ha mai davvero conosciuto, se non attraverso i dischi. Nell’aprile 1991 Lucas accetta di accompagnarlo alla chitarra in una serata che intende omaggiare la musica di Tim, a Brooklyn, e come capita a molti, uomini e donne, e come accadrà a milioni di persone quando Jeff diverrà famoso, se ne innamora all’istante. «Era identico a Tim da giovane: stesse labbra carnose e rosse e sguardo sensibile, ipnotico, acceso. Tanto carismatico, e tanto bello. Un viso levigato e sensuale, angelico e diabolico al tempo stesso. Uno splendido ragazzo». 

Jeff non è solo bello, ha una voce magnifica e sembra il contraltare perfetto di Gary quando si mettono al lavoro: il ragazzo raccoglie gli arabeschi strumentali di Lucas e li fa volare in alto nei cieli dell’emozione con i suoi testi sofferti, con interpretazioni intense che hanno la bellezza mistica e drammatica di certa musica sacra. Il ragazzo entra nel gruppo di Lucas ma poi, dopo la prima esibizione pubblica, decide di abbandonare tutto. Il musicista sedotto e abbandonato, ne fa (letteralmente) una malattia, per poi accorrere con la sua chitarra in studio quando Buckley registra l’album da solista, uscito nel 1994, intitolato Grace (come la canzone che hanno scritto insieme), ritenuto oggi uno dei capisaldi irrinunciabili dei Novanta. 

Jeff morirà in un ramo laterale del Mississippi nel maggio 1997, nei giorni in cui a Memphis sta tentando di mettere insieme un secondo album: in auto con un collaboratore, gli chiede di fermarsi e si tuffa nel fiume, da cui verrà ripescato giorni dopo. Fu suicidio? Lucas semina il dubbio, ma non ha prove, se non il ricordo di un ultimo incontro, poche settimane prima, in cui Jeff gli è sembrato svuotato, cupo e forse preda dell’eroina. 
Questa è la storia, raccontata con la sincerità che i 15 anni di distanza permettono, e un rancore verso il destino, e chi ha manovrato perché si compisse nel modo più crudele, che ovviamente risparmia Buckley, angelo caduto impossibile da odiare, per quanto calcolatore, manipolatore, cinico e narcisista abbia potuto essere. Come voler male a un ragazzo che fin dall’inizio dissemina di presagi di morte le sue canzoni? Che in Grace, bellissima e terribile, canta: «C’è la Luna che mi chiede di restare, abbastanza a lungo perché le nuvole mi facciano volare via. Ma anche se arriva il mio tempo, non ho paura, paura di morire».  

Il senso fatale di una luce troppo intensa per rimanere accesa a lungo accompagna Buckley, anche perché il suo successo è stato postumo, ed è per noi come la luce delle stelle, che ci arriva da galassie lontane nello spazio e nel tempo. Ma non a Lucas, che quella luce vide per primo, e che le storie ufficiali della vita di Buckley avevano quasi totalmente cancellato.  

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